L’incontro toccante con Hassan

Se si pensa alle Maldive, ci si immagina distesi sotto il sole, adagiati su spiagge di sabbia bianca, magari con un buon libro, lontani dal lavoro e dallo stress quotidiano. Cosa differenzia allora la vacanza da un viaggio? Il viaggio non lo dimentichi in fretta, è qualcosa che va oltre al semplice relax, che parte dal cuore e ti riempie, ti cambia. Il viaggio è desiderio di conoscenza, di arricchimento personale, è una scoperta dei luoghi, della sua gente, ma soprattutto di te stesso, e tutto ciò può avvenire anche in una minuscola isoletta dell’oceano indiano.

A Vakarufhali la discrezione ed il confort fanno parte del pacchetto vacanza. Lo staff è attento, l’organizzazione certosina fa in modo che i clienti possano ripartire soddisfatti, tutti si prodigano per offrire un soggiorno straordinario ai loro ospiti. Ma qual è l’altra faccia del paradiso che ho visto fin ora? I Maldiviani sono riservati e danno poca confidenza ai turisti, nel resort li ho soltanto incrociati di sfuggita. Non so se sia solo un caso, ma durante la mia permanenza sull’atollo, non mi sono quasi mai imbattuta in presenze femminili, le uniche che ho visto sono state alla reception, e la ragazza con il niqab che rastrellava la sabbia.

Nemmeno per la pulizia delle camere c’erano donne... mi chiedo perché, e forse involontariamente la risposta che cerco me la da Hassan.

Hassan è il cameriere che ci è stato assegnato, è lui che ci accoglie sorridente ogni volta che varchiamo la soglia del ristorante. Lo osservo da giorni. È un ragazzo mite, sempre educato e gentile. Inizia presto al mattino, prepara i tavoli per la colazione, accoglie i turisti ricordandosi i loro gusti e abitudini. C’è anche a mezzogiorno per il pranzo, poi stacca qualche ora prima di riprendere servizio alla sera.

Non so nulla di lui, credo abbia poco più di 20 anni.

Da quando ha saputo le mie origini ha smesso di parlarmi in inglese, conosce qualche parola di italiano ma vorrebbe impararne altre, così, ogni giorno, gliene insegno una nuova e lui contraccambia insegnandomene qualcuna in divehi, la lingua ufficiale delle Maldive. Pazientemente mi riprende ogni volta che sbaglio, l’unica parola che ho imparato a dire correttamente è: “posacenere” e questo lo fa ridere, perché lui il posacenere me lo porta prima che io glielo chieda.

“Dev’essere molto bella l’Italia” mi dice una mattina porgendomi il solito cappuccino. “Anche le Maldive” ribatto sorridendo...

“Sei contenta di essere qui?”

“ Era il mio sogno...”

Sorride nuovamente e mi fa tenerezza, penso ai miei figli, ai loro sogni, spero che un giorno riescano a realizzarli tutti, come ho fatto io.

“Quale è il tuo sogno Hassan, dove vorresti andare?”

La domanda mi esce di getto, lo vedo arrossire... è in imbarazzo. Mi aspetto che mi dica New York, Roma, Parigi, invece abbassa lo sguardo e prima di tornare velocemente verso il bar mi risponde: “Il mio unico sogno sarebbe quello di tornare a casa più spesso a trovare mia madre! ”.

I ragazzi Maldiviani hanno solo una possibilità, quella di lavorare nei resort, lontani dalle loro famiglie, sgobbando tutto il giorno per poterle aiutare. Nessuno svago.

Penso a sua madre, che vive quotidianamente in quello che io, fino ad ora, ho continuato a chiamare Paradiso. Intrappolata in un’isola che di paradisiaco ha ben poco, senza i confort di un resort di lusso, in una delle tante isole dell’arcipelago dove l’alcol è vietato, dove se fai sesso fuori del matrimonio ti prendi cento frustate, dove esiste la pena di morte.

Ecco la verità, quella che fa male: il Paradiso non è per tutti e nemmeno per chi lo merita. Il Paradiso esiste solo per chi paga, e nemmeno poco.

È il nostro ultimo giorno sull’isola, continuo a guardare l’orizzonte, ascolto un po’ di musica e poi chiudo gli occhi, penso alla mia famiglia. Il vero Paradiso è ciò che mi aspetta a casa, loro: i miei figli.

“Era cessato il cattivo tempo, la stagione avanzava; e all’improvviso fiorirono i mandorli”. (André Gide)

Con Stan ripercorriamo l’isola, non è il solito giro, è l’ultimo...

“Hassan, potrei avere una bottiglietta vuota per metterci dentro un po’ di sabbia? “

Chissà quanti ne ha visti, chissà quanti come me, vorrebbero portare a casa un po’ di quella sabbia bianca e farinosa... Mi porge una piccola bottiglia ma rimane in silenzio, adesso sono io che mi sento a disagio. Tento di giustificarmi.

Accarezzo la sabbia per l’ultima volta quando, dietro di me, sento la sua voce: “L’altro giorno mi hai chiesto quale fosse il mio sogno, me n’è venuto in mente uno, pensandoci bene, un giorno vorrei vedere la neve!”

“Speriamo si avveri” dico sorridendo.

“Aspetta”, cerco una foto sul cellulare, Stan me l’ha scattata prima di partire, la neve mi arriva alle ginocchia. Chissà se un giorno avrà la possibilità di realizzare il suo sogno, di lasciare quell'isola, di vedere, toccare e giocare con dei piccoli floconi di neve fresca. Me lo immagino sulle Alpi mentre gli porgo una bottiglietta vuota...

Mi sento fortunata, guardo Hassan, prigioniero del MIO di sogno, di quel meraviglioso atollo, di quella miriade di isole spruzzate nell’oceano come frammenti di smeraldo.

Chi dei due vive veramente in Paradiso?

Ho inseguito una chimera, meravigliosa quanto effimera.

“Impara a essere un osservatore in tutte le stagioni. Ogni singolo giorno, il tuo giardino ha qualcosa di nuovo e meraviglioso da mostrare”. (Anonimo)

Sto per tornare a casa. Da noi è inverno, fa freddo ma tra poco arriverà la primavera, la natura si risveglierà e sarà uno spettacolo meraviglioso. Mentre svuoto la bottiglia di sabbia sulla battigia, guardo la laguna per l’ultima volta. Sono felice, consapevole che c’è un solo posto dove i sogni continuano a vivere: nel proprio cuore!

È giunto il momento di tornare alla realtà, grazie Hassan, arrivederci Vakarufalhi!

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